Ci introduciamo nel mondo attraverso le parole. Attraverso le parole trasformiamo, o non trasformiamo, noi stessi; ci creiamo, o non ci creiamo, nuove opportunità e nuovi obiettivi. TED diffonde idee che vale la pena condividere, idee che credo valga la pena ricordare a noi stessi. Oggi vorrei condividere con voi qualcosa che credo molti di voi sappiano già, o sapessero, ma l’hanno dimenticato da qualche parte lungo la strada. Ed è facile dimenticarsene perché a volte è così vicino che non lo vediamo, è così ovvio che non lo notiamo. Quello che mi preme fare oggi è riproporvi e ricordarvi questo concetto, che in realtà rappresenta due facce della stessa medaglia, due aspetti dello stesso concetto, in modo tale che potrete andare via da qui oggi più coscienti e consapevoli di come applicarlo ad arte nella vostra vita. Chiedo a tutto il pubblico: "Cos'è il linguaggio? A cosa serve?" La maggior parte di voi cosa risponderebbe? Uno strumento per comunicare, o qualcosa del genere. Questa è un'idea così diffusa, o un modo di intendere il linguaggio, che la maggior parte della gente non la percepisce affatto come un'idea. Per noi è una definizione, un fatto. Ma se il linguaggio è uno strumento, è uno strumento che non possiamo "mettere giù". Se osserviamo un po' più da vicino, ci accorgiamo che facciamo molto di più che comunicare e descrivere con il linguaggio. Quindi, punto numero uno: il linguaggio crea e genera, non descrive solamente. Alcuni esempi: pensate a tutte le volte in cui avete pronunciato la parola "sì". Ogni volta che l'avete fatto. Ora pensate: se tutte quelle volte aveste detto di no, la vostra vita sarebbe diversa? Non sareste qui. Il semplice atto di dire sì vi fa muovere in una certa direzione, apre delle porte, altre le chiude, e viceversa. Non descriviamo e basta. Una delle mie storie preferite su come il linguaggio crei è un aneddoto sul baseball. Due arbitri stanno parlando, il primo dice: "Joe è un arbitro fantastico: alcuni strike sono ball, ma lui li chiama come se fossero strike". Il secondo dice: "No, Joe è un grande arbitro, alcuni strike sono ball, ma lui li chiama come se vedesse strike“. Joe dice: "Sbagliate entrambi". "Alcuni strike sono ball, ma non sono niente finché non li chiamo”. (Risate) Quando dice "strike tre", diventa "strike tre". Questa domanda è per tutti, per chi è sposato, o lo è stato. È una domanda semplice: essere sposati è diverso dal non esserlo? Sì. È diverso legalmente, socialmente, sessualmente, emotivamente, finanziariamente. È diverso. La domanda è: come facciamo a passare dal non essere sposati all'esserlo? Come succede? Qualcuno dice qualcosa. E in quel momento tutto cambia, e non cambia di poco, ma di molto. Ci introduciamo nel mondo con le parole. Gli Stati Uniti d'America, come vennero creati? Cosa c'è negli archivi accanto alla Costituzione a Washington? La Dichiarazione, che dichiarò la nascita di questa nazione. Certo, dopo ci fu ancora molto da fare, ma senza la Dichiarazione niente sarebbe successo. L'officina di Jim qui vicino, com'è stata creata? E tutte le altre organizzazioni, d'altro canto? Qualcuno ha dichiarato la loro nascita, e Jim e tutti noi possiamo trovarne la prova negli archivi, "I suddetti azionisti dichiarano - parte 100 a, b, c; Primo di agosto - l'azienda non esiste Due di agosto - l'azienda è attiva". I leader vengono pagati per comunicare efficacemente. I leader creano e sostengono e coltivano in continuazione questa entità, che non è fisica ma è molto reale e potente, che si chiama cultura d'impresa. Ovviamente non usano la zappa o il fertilizzante, ma usano l'arte della conversazione, le conversazioni a loro utili, mentre altre vengono proibite. Questi dialoghi modellano e influenzano quella cultura tanto quanto questa influenza le conversazioni che avvengono in azienda. La causalità è a doppio senso. Ora, andiamo un po' sul personale. Pensate a qualcuno che fa parte della vostra vita con cui avete una relazione profonda, ottimale e intima. I dialoghi che avete con quella persona creano intimità, generano quello spazio di autenticità e vulnerabilità, non lo descrivono. Se le conversazioni cambiano, cambia il tipo di relazione. Se poniamo fine a quelle conversazioni, la relazione finirà. Torniamo al matrimonio: c'è un momento in cui chi lo celebra dice una cosa del genere: "Se qualcuno pensa che queste due persone non debbano sposarsi, parli ora o taccia per sempre". Vi garantisco che, se qualcuno si alzasse e gridasse: "Io!", non starebbe descrivendo, ma creando. (Risate) Pensateci. State creando del caos, una crisi, state creando una relazione completamente nuova con lo sposo. Pensateci. E una nuova, formidabile reputazione per voi stessi. (Risate) Non dico che non descriviamo affatto con il linguaggio. Quello che intendo dire è che non è l'unica cosa che facciamo. E sono tutte quelle altre cose, che vale la pena di approfondire. Un altro esempio. In tempi di cambiamento, come quello che viviamo oggi, la nostra capacità di continuare a imparare è cruciale. E un potentissimo prerequisito per l'apprendimento, sia che stiamo imparando ad andare in bicicletta, a ricostruire un rapporto, a gestire un'attività, è un passo di tipo linguistico: quello che si fa quando si dice dentro di sé, o a voce alta: "Non lo so". Dire "Non lo so" non descrive un fatto, ma produce qualcosa. Prepara il terreno per l'apprendimento, non in senso fisico, ma è molto reale. Diamo vita a qualcosa, dichiarandola. Le diamo un nome. Proprio come l'arbitro. Sappiamo tutti come funziona: chi di voi ha mai provato a insegnare qualcosa a qualcuno che pensava di sapere già quella cosa? Quanto davvero impariamo in questo caso? Non molto. Quindi, punto primo: il linguaggio crea e genera, non descrive semplicemente. Punto numero due: viviamo immersi nelle parole. Viviamo immersi nelle parole. Cosa significa? Mi piace fare questo quadretto: chi di voi sente una vocina dentro di sé? che dice: "Di che parla questo tizio?" ecco, è di cosa sto parlando. Chi ha in testa un gruppo di discussione? (Risate) Uno dei miei autori preferiti è Mark Twain. Disse: "Mi trovo sempre nel mezzo di una discussione, a volte, partecipano anche altre persone". (Risate) Mica solo lui, anche noi. Tutti noi. E dato che viviamo di linguaggio, è ciò che normalmente facciamo. Voi, io, noi tutti, ci confrontiamo con varie situazioni. A casa, al lavoro, con i nostri figli, a scuola, in spiaggia; in qualsiasi situazione. E in quanto esseri umani, ci ricamiamo su delle storie, spacciandole per vere, e ci dimentichiamo di averle inventate. (Risate) Dicendo "storia" non intendo una bugia o una fabbricazione, una deliberata manipolazione, o un auto-inganno, solo una nostra interpretazione. Una spiegazione. È cruciale capire la differenza tra evento e spiegazione. 'Evento' non è uguale a 'spiegazione'. Ad esempio: vostro figlio torna da scuola, vi guarda dritto negli occhi e dice: "Sono stupido". "Cosa dici?" "Sono stupido". "Di cosa stai parlando?" "Ho preso insufficiente nel compito in classe di inglese". Qual è l'evento qui? Il voto 'insufficiente' del compito in classe. E la spiegazione? "Sono stupido". Domanda: se il bambino continua a sostenere di essere stupido la definireste una cosa descrittiva o creativa? Creativa, direi. Torniamo al voto del compito in classe e prendiamola più alla larga. Sono gli eventi della vita o le nostre spiegazioni di un dato evento ad essere più importanti in termini di ciò che poi portiamo nel nostro mondo? Sono le spiegazioni. E non le effettive azioni che compiamo, ma le loro conseguenze, in molti ambiti, o no? Sì. È la spiegazione il nostro trampolino, non l'evento stesso. Di fronte a un evento, quante possibili spiegazioni esistono? Infinite. E se interrompessimo questa abitudine? E se smantellassimo queste impalcature invece di sommarle alla nostre e alle altrui spiegazioni? "Ho ragione io, tu hai torto, è così, non come dici tu". Se cessassimo questo meccanismo, sostituendolo con il concetto di 'potente-debole'. Sarebbe così: la tua spiegazione è efficace o debole, visto il risultato che vuoi ottenere? La mia spiegazione mi è utile oppure no, per ciò che voglio essere, ciò che voglio fare, od ottenere, o nella mia relazione? Ricordate che il motto è: "devo raggiungere il mio risultato". Nulla arriva dal nulla. Mai. Anche se poi è un automatismo. Senza dubbio. Siamo tutti dei Mark Twain. Avete mai conosciuto qualcuno che non attua questo meccanismo? La verità è che si tratta di consapevolezza. Il mero fatto non è un problema. L'unico problema è che neanche ce ne rendiamo conto! Ecco, come apparirebbe qualcuno che non ne è consapevole. È meraviglioso essere qui oggi, e mi sembra ovvio che ognuno di voi sia per forza influenzato dalla propria età, razza, sesso, da quanto avete o meno viaggiato nella vostra infanzia, la vostra cultura, istruzione, le esperienze di lavoro, e tutti i filtri attraverso i quali percepite la realtà. Io, invece, vivo di cosmica oggettività, in qualche modo sono nato libero da questi schemi, svincolato da ogni filtro cognitivo, emotivo e culturale che vi ostruisce. I miei occhi sembrano trasparenti lastre di vetro, che mi permettono di accedere alla realtà originale in modo da lasciare la parola alla visuale cosmica dell'oggettività. È un'ottima cosa per me essere nato con questo dono? (Risate) (Applausi) Arrivato a questo punto in un workshop, un tale si alzò e disse: "Fratello, fratello, finalmente! Qualcuno che mi capisce!" (Risate) "Pensavo di essere l'unico! Che peso questo dono! L'unico dotato di oggettività!" Ognuno interpreta a modo suo, a prescindere, non esistono eccezioni, mai. Un mio insegnate disse: "Qualsiasi cosa detta, viene detta da qualcuno". (Risate) Pensateci. Qualcuno nato da qualche parte del mondo in una certa cultura, in un determinato periodo storico, cresciuto da singoli esseri umani ciascuno con regole, caratteristiche, valori, abitudini, esperienze, stati d'animo, come tutti noi. Ma, gente, la conseguenza è che se non riusciamo a vedere tutto questo, cioè ci inventiamo delle storie, e in più non stiamo arrivando a nessuno dei risultati che ci eravamo prefissati, allora non avremo accesso a un'interpretazione più efficace, non avverrà mai. Sarà sempre fuori dalla vostra visuale se non sapete cosa state facendo; non ci sarà nessun miglioramento. Ciò che in realtà avete fatto è escludere un magnifico punto di forza. A questo livello, tu puoi fare la differenza. Viviamo nel linguaggio come un pesce vive nell'acqua. Nato in acqua, vive in acqua. acqua, acqua, acqua. Domanda: in che momento un pesce si rende conto di essere nato nell'acqua e di viverci? Quando? Nel momento in cui lo tiri fuori. Siamo nati nel linguaggio, ci viviamo, ci circonda, è ovunque. Una delle cose che voglio fare oggi è creare uno spazio dove poter iniziare a osservare il linguaggio invece di viverci in mezzo, così da poter essere più consapevoli dell'uso che ne facciamo, e più accorti e attenti nell’usare questa energia generativa e creativa, che chiamiamo linguaggio. Nuotiamo in un mare di storie, interpretazioni, spiegazioni e credenze, che vivono tutte nel linguaggio, e in gran parte abbiamo dimenticato di esserne gli autori. Molte delle storie, spiegazioni, credenze non ci portano e non ci porteranno dove vogliamo andare. Ma poiché abbiamo dimenticato di esserne noi gli artefici, abbiamo anche dimenticato di avere il potere e la capacità di cambiarle, aggiornarle, superarle o lasciarle andare. Quindi, uno: il linguaggio crea e genera. Due: vivere nel linguaggio equivale a dire che siamo sempre nel processo di creare o generare, volenti o nolenti. Cosa è più importante nella vita, essere, fare, avere? Qualsiasi sia la risposta a queste domande, vi ricordo che ci introduciamo nel mondo attraverso le parole. Non siamo esseri umani, ma umani in divenire. Lo siamo. E in questa infinita danza di apprendimento, crescita, evoluzione e divenire, questo modo di concepire il linguaggio, di comprendere noi stessi, è la chiave. Vi invito, e vi sfido, quando oggi ve ne andrete da qui, a diventare migliori osservatori di voi stessi, e di come usate le parole, a esserne sempre più consapevoli e ad accettare il vostro ruolo nel mondo in quanto autori della vostra vita. Grazie. (Applausi)