Sono le 5:30 del mattino. Londra, 12 agosto 2012. Spengo la sveglia, anche se quella notte, in realtà, non ho dormito parecchio, perché fra un'ora c'è un pullman che mi porterà a giocare la partita più importante della mia carriera. La partita che vale una medaglia olimpica. Ora, serve una premessa. Come avete intuito quando sono entrato sul palco io non sono stato un grande atleta che è diventato allenatore di pallavolo, che è un po' lo stereotipo classico del mondo dello sport. Mi piacerebbe raccontarvi, come fa qualche mio collega, che ero molto bravo, avevo talento, poi mi sono fatto male e ho dovuto iniziare ad allenare. No; ero sano come un pesce. Semplicemente non avevo talento a sufficienza per diventare un atleta, cosa che mi sarebbe piaciuta moltissimo. Matteo vi ha raccontato del mio giro, che è stato un po' lungo. Ho incominciato ad allenare in questa città, che è la mia città, in un oratorio di questa città, di un borgo, si chiama Borgo San Paolo. Ho incominciato da lì un percorso che è passato attraverso cinque campionati diversi, dieci città diverse, tre nazioni: l'Italia, la Grecia e la Finlandia, che sono parti del mondo che mi hanno fatto diventare quel che sono. Pensavo un po' a queste cose quella mattina alle 5:30, sapendo che quel pullman sarebbe partito un'ora dopo per portarmi all'Hell's Court, il posto, il luogo dove la nostra squadra avrebbe giocato quella partita. L'Hell's Court è una di quelle architetture resistenti che sono state capaci di cambiare nel corso della storia la loro destinazione d'uso. Alla fine dell'800 c'era la sede europea del "Buffalo Bill's Wild West Show", pensate quanti sogni sono transitati di lì. Poi, all'interno di quella struttura, pensata per i grandi eventi musicali, nel 1973 David Bowie fece un concerto che siglò il record storico di persone che erano andate ad assistere a un concerto rock indoor. Nel 1992 un nuovo edificio, tanto per essere coerente con questo luogo di produzione di sogni, venne inaugurato da una principessa, Lady Diana. Poi in occasione della trentesima edizione dei giochi olimpici, Londra 2012, quel posto era stato scelto per disputare le partite di pallavolo. Quello era, in quel giorno, il teatro dei miei sogni. Purtroppo era lontanissimo da dove stavamo noi, era a più di un'ora di tragitto in condizioni normali, però quel giorno, tanto per complicare le cose, c'erano due fatti: il primo: era l'ultimo giorno dei giochi, il giorno in cui si corre la maratona. La maratona arrivava nel centro di Londra, che quindi era completamente paralizzato. Il secondo fatto era che la nostra partita aveva un orario d'inizio particolare: le 8:30 del mattino. La pallavolo è uno sport di forza esplosiva non è un capriccio, non è questione di allenamento o di abitudine. È molto difficile essere performanti a quell'ora del mattino, è un fatto biologico. Nessuno dei miei atleti aveva mai giocato una partita che incominciasse a quell'ora. Era tutto completamente nuovo, era una situazione, una sensazione completamente sconosciuta. Era tutto meravigliosamente inallenabile. Nessuno dei nostri protocolli, tutte quelle cose che nello sport si fanno con grande precisione e con grande attenzione ai dettagli, sembrava essere utile quel giorno; nessuna. Forse una sì, perché su quel pullman, che mi avrebbe portato al teatro dei miei sogni, io incominciavo a realizzare che quello che mi stava capitando - lì, seduto, con il mio sacchettino con la colazione dentro, un panino e un succo di frutta, così come si fa nelle gite scolastiche - quella sensazione era molto vicina a quello che avevo fatto 25 anni prima quando in questa città allenavo i ragazzini dell'oratorio. Dovevo calcolare bene i tempi degli spostamenti, trovare la pizzeria giusta per arrivare a mangiare, insomma in modo che fosse né troppo presto né troppo tardi, rispetto alla partita. Paradossalmente, era tutto diverso da ciò che avevo fatto negli ultimi anni della mia carriera in serie A, agli Europei, ai Mondiali, nelle World League. E altrettanto paradossalmente, quel giro lungo, iniziato dall'oratorio, mi stava riportando al suo inizio. Grazie alla solerzia degli organizzatori locali arrivammo al campo di gioco con un anticipo pazzesco. Chiudete un attimo gli occhi, immaginate di essere un atleta che deve andare in campo a giocare per una medaglia olimpica. Provate a pensarvi a guardare il soffitto dello spogliatoio dovendo aspettare più di un'ora l'inizio della gara. Riuscite ad immaginare la tensione, il nervosismo, quell'energia nervosa che si brucia e che, però, sapete che presto vi servirà dannatamente. La mia fortuna fu quella di percepire quello stato d'animo collettivo. Chiamai la squadra intorno a me e feci un discorso di poche parole. Dissi: "Voglio raccontarvi la storia di un saltatore in alto, un atleta come voi che ha avuto lo stesso sogno vostro, per tutta la sua vita, fin da bambino: vincere una medaglia olimpica. Immaginate che quell'atleta abbia, insieme al suo staff di allenatori, studiato in maniera meticolosa le condizioni in cui dovrà competere il 12 agosto del 2012, a Londra. Sa ed è consapevole che il 12 agosto a Londra normalmente ci sono 24 gradi, c'è il 70% di tasso d'umidità, c'è una leggera brezza di 4/5 nodi che soffia da sud-est a favore di rincorsa e ha ricreato quelle condizioni e si è allenato in quelle condizioni ogni singolo giorno degli ultimi quattro anni. È perfetto, si sente pronto, si sente imbattibile. Poi arriva il 12 agosto 2012. E quando quell'atleta entra nella pista di atletica dello stadio olimpico succede che piove. Piove, fa freddo, la pedana è scivolosa, c'è un vento forte. Quali sono le due scelte? La medaglia verrà comunque assegnata quel giorno, la vincerà chi sarà più agile. E questo concetto di agilità ha a che fare con la fisicità, che serve agli sportivi, però è un concetto anche molto intellettuale. È una sorta di leggerezza, di capacità di muoversi in modo efficace di interpretare qualche dettaglio e di rimettere insieme dei pezzi che sembrano scomporsi tra le tue mani. Io dissi: "Sono certo che siate consapevoli che tutto quello che avete fatto fino ad oggi è stato importante, perché se voi non aveste avuto quell'attenzione ai dettagli, quella cura del particolare, quella ricerca del protocollo, oggi voi non sareste seduti in questo spogliatoio, ci sarebbe qualcun altro al posto vostro. Però, oggi, voi dovete sbarazzarvi di quello che vi siete portati fino a qui. Dovete togliervi questo zaino che è troppo pesante e che oggi non servirà, anzi, sarà di ostacolo. Chiusi questo piccolo discorso dicendo una cosa molto semplice che però sentivo davvero in quel momento e dissi semplicemente: "Voglio che sappiate che sono dannatamente orgoglioso di essere qui con ciascuno di voi, oggi, sotto questa pioggia. Cacciai letteralmente gli atleti dallo spogliatoio, chiesi loro di andare a fare colazione, fuori. Immaginatevi la scena con gli addetti alla sicurezza che rincorrevano gli atleti che andavano a prendere un caffè. Ci demmo appuntamento mezz'ora dopo, nello stesso spogliatoio, dove io non parlai quasi più. Feci solo un gesto. Appesi in quello spogliatoio una maglia azzurra, la maglia numero 16 di Vigor Bovolenta, un atleta che aveva vestito quella maglia 197 volte fino alle olimpiadi di Pechino e che cinque mesi prima di quella partita era tragicamente scomparso per un problema cardiaco, giocando a pallavolo. Appesi quella maglia insieme alle altre e dissi semplicemente - ricordai semplicemente l'importanza di non lasciarsi cose non dette, non fatte dicendo che in qualche modo, in qualche forma, quel giorno, avremmo potuto contare su un giocatore in più. Non avrei certo immaginato che quattro anni dopo sarei stato chiamato a raccontare di queste vicende a un TED. Però credo, in quel momento, di aver pensato esattamente: "This must be the place", questo dev'essere il posto, dev'essere il posto dove io, dove noi realizzeremo i nostri sogni anche se completamente diverso da quello che ci saremmo aspettati. Sta a noi renderlo tale, oggi. Mi venne in mente il luogo da dove i nostri sogni erano iniziati: il Foro Italico, lo Stadio dei Marmi, a Roma, da lì la delegazione olimpica si muove simbolicamente per andare a ricevere la bandiera olimpica dal presidente della Repubblica. Pensai a quel luogo con un riferimento alla leggerezza, proprio quella di Italo Calvino, nelle "Lezioni americane" perché anche il Foro Italico è un luogo che ha saputo trasformare clamorosamente la destinazione per la quale era stato pensato. Perché quel luogo era stato pensato per celebrare la pesantezza e l'orrore dell'apologia fascista. Era stato pensato per dividere il mondo ed era stato capace di trasformarsi, ospitando nel 1960 l'edizione forse più bella dei giochi olimpici, quella di Roma, quella di Abebe Bikila, della sua corsa leggera a piedi scalzi, la maratona vinta sotto l'arco di Costantino, i giochi di Cassius Cley, i giochi di Nino Benvenuti, i giochi di Wilma Rudolph, i giochi di un ragazzo torinese che Wilma Rudolph guardava con tenerezza, si chiamava Livio Berruti e vinse i 200 metri con un'immagine meravigliosamente romantica, quella di un volo di colombe che accompagnavano la sua curva prima della dirittura d'arrivo, che sottolineavano quella leggerezza, che aveva trasformato anche quel luogo nato per un obiettivo completamente diverso, nato per dividere il mondo, in un luogo dove il mondo, quel giorno, trovava la sua sintesi più bella. [Musica di sottofondo] Non ricordo quasi nulla della partita che ci ha assegnato la medaglia. Ricordo la tensione, le difficoltà da superare, il senso di far parte di qualcosa di grande, ricordo che ci fu, però, con chiarezza in tutti noi una sensazione, non pensammo mai, neanche per un istante, che non avremmo vinto quella partita. Ripensai tante volte a quello che era successo, ricordo l'ultimo punto, quello che segnò la fine di quel percorso e ricordo che dopo quell'ultimo punto, sul podio olimpico, ricomparve quella maglia che avevamo appeso negli spogliatoi con un gesto di una bellezza straordinaria che fece il giro del mondo e che è ancora la mia medaglia, perché, non so se sapete, con grande crudeltà ai giochi olimpici la medaglia agli allenatori non la danno. La medaglia... va solo agli atleti. [Applausi] Poco dopo - [Applausi] Poco dopo ripensai a Calvino, guardando ai miei atleti sul podio. Una sensazione che vi raccontano tanti atleti, una specie di passaggio schizofrenico fra la gioia assoluta e la melanconia sono sorrisi che si spengono, occhi che si abbassano. Come diceva Calvino, la melanconia è tristezza che diventa leggera. Come se lì, sul podio, tu scoprissi che il viaggio che ti ha portato fino a lì è finito e quell'isola di utopia che hai ricercato per tanti anni si dissolve sotto tuoi piedi appena tu ci hai messo il primo passo sopra. Ricordo anche la sera dopo quella medaglia, passeggiavo nel villaggio olimpico, l'ultimo giorno dei giochi, ripetendomi in maniera ossessiva che quel sogno che io avevo da bambino, che era stato possibile raggiungere mi dimostrava che non esistono sogni impossibili. E mi ripetevo questa cosa immaginando e sentendo che io avevo in quel momento un solo desiderio, una nuova idea: essere a Rio, quattro anni dopo. In quel momento incominciai a tratteggiare un nuovo viaggio, verso un'altra isola di utopia. Pensai qualcosa del genere: "Rio must be the place". Io però a Rio non ci sono arrivato, perché mi sono fermato un mese prima delle qualificazioni per quelle olimpiadi, rassegnando le mie dimissioni, il 29 luglio del 2015, in relazione a un fatto che non voglio raccontare, perché non è importante. È importante che avesse a che fare col rispetto delle persone e dei valori, cosa che a mio giudizio non erano, non sono e non saranno mai negoziabili. Non voglio giocare a fare l'eroe. Se voi mi chiedeste: "Lo rifaresti?" Io non vi saprei rispondere. Quella scelta mi ha procurato un dolore immenso, gigantesco. Guardare alla televisione, otto atleti che con me, sui 12 presenti a Rio, giocavano una finale olimpica, è una sensazione che difficilmente riuscirei a descrivere quindi non ci provo neanche. Voglio solo mettervi in guardia: "the place" non esiste. O almeno, non esiste per quanto voi vi sforziate di definirne i dettagli, non esiste come lo pensate voi. L'isola che non c'è, appunto, non c'è. "The place" è un viaggio. La cosa bella è che ogni nostro viaggio possa essere il più lungo possibile pieno di ricchezze, di persone da incontrare nel cammino, sulla strada, pieno di posti dove farsi contaminare. Proprio come succede nel viaggio più famoso della storia della letteratura, quello di Ulisse. C'è, nel libro quinto dell'Odissea, un momento in cui Ulisse è sull'isola della Ninfa Calipso, la donna più bella del mondo che gli ha promesso l'immortalità, se lui resterà lì con lei. Ora, ditemi voi. La donna più bella del mondo e l'immortalità sono due poste in palio abbastanza significative, eppure, Calipso trova Ulisse seduto sulla spiaggia che guarda il mare con gli occhi rigati di lacrime per questo desiderio, per la nostalgia di ritornare alla sua isola. Il desiderio e la nostalgia sono un motore dalla forza inesauribile. Siate consapevoli che ci sarà sempre un luogo verso il quale desideriamo ritornare. Ma che ogni volta che ci arriveremo ce ne sarà un altro di cui sentiremo la mancanza. C'è una poesia che racconta di quel viaggio straordinario, che è anche una meravigliosa e struggente metafora sul senso della vita. L'ha scritta Costantino Kavafis nel 1911 e s'intitola "Itaca". (Musica) "Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, né nell'irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l'anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d'estate siano tanti quando nei porti, finalmente e con che gioia toccherai terra tu, per la prima volta. Negli empori fenici indugia e acquista madreperle, coralli, ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie, Impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca, raggiungerla sia il tuo pensiero costante. Tuttavia, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull'isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada, senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza lei mai ti saresti messo sulla strada. Che cos'altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito che cosa un'Itaca vuole significare". Qualunque sia la vostra Itaca, buon viaggio! Grazie Applausi