Non c'è alcun dubbio riguardo al fatto che dialoghiamo con i terroristi. Siamo in lotta contro una nuova forma di terrorismo. Assomiglia alla vecchia, tradizionale forma di terrorismo, ma è una sorta di nuova versione del 21esimo secolo. Una delle questioni principali riguardo all'antiterrorismo è: come lo percepiamo? Perché la percezione determina il modo in cui reagire. Per cui se avete una percezione tradizionale del terrorismo, lo vedrete come criminalità o guerra. Per cui come gli risponderete? Naturalmente, occhio per occhio. Lo combatterete. Se invece avete un approccio più moderno, e la vostra percezione del terrorismo riguarda la causa e gli effetti, naturalmente la risposte che ne risultano saranno molto più asimmetriche. Viviamo in un mondo globale, moderno. I terroristi vi ci sono adeguati. È qualcosa che facciamo anche noi, e questo significa che chi lavora nell'antiterrorismo deve iniziare, a tutti gli effetti, ad indossare degli occhiali alla Google, o qualcosa di simile. Da parte mia, ciò che vorrei che noi facessimo è considerare il terrorismo come se fosse un marchio mondiale, tipo Coca-Cola. Entrambi fanno male alla salute. (Risate) Se lo si osserva come un marchio, si inizia a capire che deve essere un prodotto piuttosto difettoso. Perché, come abbiamo detto, fa male alla salute fa male a chi ne viene colpito, e non fa neanche bene ai kamikaze. Non mantiene ciò che promette sulla confezione. Non avrete certo 72 vergini in paradiso. Non succederà, almeno non credo. E negli anni '80 non metterete certo fine al capitalismo, aiutando uno di questi gruppi. È un mucchio di sciocchezze. Noterete che ha un tallone d'Achille. Il marchio ha un tallone d'Achille. Abbiamo nominato la salute, ma ha bisogno di consumatori disposti a crederci. I consumatori di cui ha bisogno sono l'elettorato del terrorismo. Sono le persone che credono nel marchio, che lo sostengono, lo agevolano, e sono le persone con cui dobbiamo metterci in contatto. Dobbiamo attaccare il marchio di fronte a queste persone. Ci sono essenzialmente due modi per farlo, se proseguiamo con questa metafora del marchio. Uno è ridurre la sua quota di mercato. Questo significa porre il nostro marchio contro il loro. Dobbiamo competere. Dobbiamo mostrare che il nostro prodotto è migliore Se cerco di mostrare che il mio prodotto è migliore, non farei certo cose come Guantanamo Bay. Abbiamo discusso sul posto della necessità di limitare il bisogno del prodotto stesso. Lì si può trovare povertà, ingiustizia e tutte quelle cose che alimentano il terrorismo. L'altra opzione è abbattere il prodotto, attaccando il mito del marchio, come abbiamo detto. Sapete, non c'è nulla di eroico nell'uccidere un ragazzino. Forse dovremmo concentrarci su questo e far circolare il messaggio. Dobbiamo mostrare i pericoli del prodotto. Il pubblico a cui miriamo non è solo chi il terrorismo lo fabbrica, ovvero i terroristi. Non sono solo i promotori del terrorismo, che sono coloro che lo finanziano, che lo agevolano, ma sono i consumatori del terrorismo. Dobbiamo entrare in quei territori. Perchè è lì che il terrorismo recluta. Da lì provengono forza e potere. Da lì provengono i suoi consumatori. È lì che dobbiamo far arrivare il nostro messaggio. Per cui è essenziale avviare delle interazioni in quelle aree, con i terroristi, i promotori, ecc. Dobbiamo attirare l'attenzione, dobbiamo educare e dobbiamo dialogare. Rimanendo sulla metafora del marchio ancora per alcuni secondi, pensate al meccanismo di distribuzione. Come portiamo avanti questi attacchi? Beh, ridurre le quote di mercato è compito dei governi e delle società civili. Dobbiamo mostrare che siamo migliori. Dobbiamo mostrare i nostri valori. Dobbiamo mettere in pratica ciò che predichiamo. Ma quando si tratta di abbattere il marchio, se i terroristi sono la Coca-Cola e noi siamo la Pepsi, non penso che, essendo noi la Pepsi, risultiamo credibili quando parliamo della Coca-Cola. Per cui dobbiamo cercare un meccanismo alternativo, ed uno dei migliori meccanismi che ho trovato riguarda le vittime del terrorismo. Perché sono persone in grado di alzarsi in piedi e dire: "Quel prodotto è una schifezza. Mi ha fatto star male per giorni. Mi ha ustionato la mano, o qualcosa si simile." Voi gli credereste. Le loro cicatrici sarebbero visibili. Vi fidereste di loro. Ma che siano le vittime, i governi, le Organizzazioni non Governative o persino la Regina l'altro giorno, nell'Irlanda del Nord, dobbiamo interagire e confrontarci con questi vari aspetti del terrorismo, dobbiamo, a tutti gli effetti, fare una piccola danza con il diavolo. Questa è la mia parte preferita del discorso. Vorrei farvi saltare in aria per cercare di essere più efficace, ma -- (Risate) -- TED, per questioni di sicurezza e di salute, mi ha detto che posso fare solo un conto alla rovescia, per cui mi sento un po' a metà tra un terrorista irlandese o ebreo, e un terrorista per la salute e la sicurezza, e -- (Risate) -- adesso contro 3, 2, 1 e... è un po' allarmante, per cui sto pensando a quale sarebbe il mio motto, e sarebbe: "Parti del corpo, non attacchi di cuore. " Per cui 3, 2, 1. (Suono di un'esplosione) Molto bene. (Risate) Ora, la ragazza del 15J era una kamikaze tra di noi. Siamo tutti vittime del terrorismo. Siamo in 625 in questa stanza. Saremo spaventati a vita. C'erano un padre ed un figlio seduti in quel posto. Il figlio è morto e il padre è vivo. Probabilmente il padre si maledirà per i prossimi anni per non aver preso il posto del figlio. Annegherà nell'alcool e probabilmente si ucciderà entro tre anni. Queste sono le statistiche. Laggiù c'è una giovane ragazza molto bella, che ha quella che penso sia una delle peggiori forme di danno psicologico e fisico che abbia mai visto causata da un attacco suicida: è un proiettile umano. Significa che quando si siede in un ristorante nei prossimi 10, 15 anni, oppure in spiaggia, di tanto in tanto si gratterà la pelle e verranno fuori pezzi di quel proiettile. Ed è una cosa difficile da accettare nella propria testa. Laggiù c'è anche una signora che ha perso le gambe in questo attentato. Scoprirà che riceverà una ridicola somma di denaro da parte del governo per aiutarla dopo ciò che le è capitato. Aveva una figlia che stava per andare ad una delle migliori università. Dovrà rinunciarvi per poter accudire la propria madre. Siamo tutti qui e chiunque ci guardi ne rimarrà traumatizzato, ma tutti voi che siete le vittime imparerete una dura verità. Ossia, nella nostra società noi compatiamo, ma dopo un po' iniziamo ad ignorare. Non facciamo abbastanza come società. Non curiamo le nostre vittime, e non le aiutiamo, e quello che vorrei fare è mostrare che le vittime sono le migliori armi che abbiamo contro l'avanzare del terrorismo. Come si sarebbe comportato invece un governo di inizio millennio? Lo sappiamo tutti. Avrebbero iniziato un'invasione. Se il kamikaze fosse stato del galles, beh, buona fortuna al galles, direi. Una legislazione istintiva, basata sulle emergenze -- che colpisce alla base della nostra società, come sappiamo -- è uno sbaglio. Dobbiamo cambiare i pregiudizi da Edimburgo fino a tutto il Regno Unito, e dobbiamo farlo per tutti i Gallesi. Oggi i governi hanno imparato dai loro errori. Stanno osservando ciò che vi ho mostrato, questi approcci asimmetrici alla situazione, queste visioni più moderne, di causa ed effetto. Ma gli errori del passato sono inevitabili. È la natura umana. La paura e la fretta di fare qualcosa al riguardo sono immense. E portano a fare sbagli. Non porteranno mai a scelte intelligenti. Una volta un famoso terrorista irlandese ha riassunto la questione molto bene. Ha detto, "Il fatto è che il governo Britannico deve essere fortunato ogni volta, mentre a noi basta essere fortunati solo una." Quello che dobbiamo fare è essere efficaci. Dobbiamo pensare di essere proattivi. Dobbiamo costruire un arsenale di armi non combattive in questa guerra contro il terrorismo. Ma, ovviamente, sono solo idee -- una cosa che i governi non maneggiano molto bene. Vorrei tornare indietro giusto prima dello scoppio, all'idea del marchio e di quando parlavo di Coca-Cola e Pepsi, ecc. Noi la vediamo come una guerra tra i marchi del terrorismo e della democrazia. Loro la vedranno come combattenti per la libertà e per la verità contro l'ingiustizia, l'imperialismo, ecc. Dobbiamo considerarlo come un campo di battaglia mortale. Non è solo il nostro corpo e il nostro sangue che vogliono. Loro vogliono le nostre anime culturali ed è per questo che l'analogia del marchio è un modo molto interessante di osservare la questione. Osserviamo al Quaeda. Al Quaeda era essenzialmente uno prodotto sugli scaffali di un souk da qualche parte di cui non molti avevano sentito parlare. L' 11 settembre l'ha lanciato. È stato una grande campagna di marketing, ed è stata realizzata apposta per il 21esimo secolo. Sapevano quello che facevano. Stavano facendo qualcosa qualcosa di efficace per l'immagine del marchio creando un marchio a cui potersi affiliare in tutto il mondo, dovunque ci fosse povertà, ignoranza ed ingiustizia. Come ho detto, noi dobbiamo colpire quel mercato, ma dobbiamo usare le nostre teste invece della nostra forza. Se lo consideriamo nell'ottica del marchio, o in modo simile, non risolveremo la lotta al terrorismo. Vorrei solamente elencare alcuni esempi provenienti dal mio lavoro, dove cerchiamo di approcciare queste cose in maniera differente. Il primo è stato soprannominato "lawfare" [guerra legalista], tanto per trovare una parola più adatta. Quando in principio cercavamo di compiere azioni civili contro i terroristi, tutti hanno pensato che fossimo pazzi ed anticonformisti ed eccentrici. Ora che ha un nome, tutti lo stanno applicando. C'è una bomba, la gente inizia a denunciare. Ma uno dei primi casi è stata la bomba di Omagh. Un'azione civile è stata condotta nel 1998. Ad Omagh una bomba è scoppiata per mano dell'IRA nel mezzo delle trattative di pace. Ciò significava che i colpevoli non potevano davvero essere perseguiti per varie ragioni, ma soprattutto per le trattative di pace e per quello che è il bene superiore. Come potete immaginare, significa anche che le persone che hanno bombardato i vostri bambini e i vostri mariti potevano tranquillamente passeggiare nei supermercati dove andate anche voi. Alcune vittime hanno detto, quel che è troppo è troppo. Ed hanno iniziato un'azione privata e, grazie a Dio, 10 anni dopo l'hanno vinta. C'è ancora un piccolo appello al momento per cui devo essere cauto, ma sono piuttosto sicuro. Perché è stato efficace? Perché non solo si ha avuta la percezione che giustizia era stata fatta laddove c'era un enorme vuoto. Ma anche perché l'IRA e gli altri gruppi terroristici, traggono la loro forza dal fatto di subire soprusi. Rovesciando la situazione, quando sono diventate le vittime a subire soprusi, non hanno saputo cosa fare. Si sono sentiti imbarazzati. Il numero di reclute è calato. Gli attentati si sono interrotti -- ed è un fatto -- grazie a quest'azione. L'aspetto più importante è che le vittime sono diventate un fantasma che tormentava l'organizzazione terroristica. Ci sono altri esempi. Abbiamo un caso chiamato Almog che ha a che fare con una banca che fu, presumibilmente, dal nostro punto di vista, complice dei kamikaze. Solo iniziando il caso la banca ha tagliato i finanziamenti, e invero le autorità del mondo, che per ragioni politiche non hanno potuto fare molto al riguardo poiché c'erano diversi conflitti di interesse, hanno serrato le suddette scappatoie nel sistema bancario. C'è un altro caso chiamato caso McDonald, in cui alcune vittime del Semtex, delle bombe del governo provvisorio dell'IRA, che sono state fornite da Gheddafi, hanno citato in giudizio e quest'azione ha portato delle conseguenze fantastiche per la Libia. La nuova Libia è stata compassionevole con le vittime e in questo modo è nato un intero nuovo dialogo. Ma il problema è che abbiamo bisogno di sempre maggior supporto per queste idee e per questi casi. Affari civili ed iniziative della società civile. C'è un caso interessante in Somalia. C'è una guerra contro la pirateria. E se qualcuno pensa che si possa combattere la pirateria allo stesso modo con cui si combattono i terroristi, si sbaglia. Quello che stiamo cercando di fare è trasformare i pirati in pescatori. Hanno un passato da pescatori, in fondo, ma abbiamo rubato loro il pesce e scaricato montagne di rifiuti tossici nella loro acqua. Quello che vogliamo fare è creare sicurezza e posti di lavoro introducendo un guardiacoste insieme all'industria della pesca, e vi assicuro che con questo miglioramento gruppi militari come al Shabaab non potranno fare leva sulla povertà e l'ingiustizia per sfruttare la loro gente. Queste iniziative costano meno di un missile, e sicuramente meno della vita di un soldato, ma principalmente porta la guerra nelle loro terre, e non sulle nostre coste, e stiamo osservando le cause. L'ultimo cosa di cui voglio parlare è il dialogo. I vantaggi del dialogo sono ovvi. Educa entrambe le parti, migliora la conoscenza reciproca, rivela i punti di forza e le debolezze, e sì, come moti oratori in passato, una vulnerabilità condivisa porta alla fiducia, e diventa come processo, parte della norma. Ma non è una strada facile. Dopo la bomba, le vittime non sono molto d'accordo. Ci sono problemi pratici. È politicamente pericoloso per i protagonisti e per gli interlocutori. In una occasione stavo conducendo le trattative, ed ogni volta che dicevo una cosa a loro sgradita, mi tiravano delle pietre addosso, e quando dicevo una cosa a loro gradita, iniziavano a sparare in aria, una cosa altrettanto spiacevole. (Risate) Qualunque sia il punto, entra nel vivo del problema, ce la stiamo facendo, stiamo parlando con loro. Ora, vorrei solo concludere dicendo che, se seguiamo la ragione, scopriamo che vorremmo tutti credere di avere una percezione del terrorismo non solo da un punto di vista puramente militare. Dobbiamo spingere per moderne ed asimmetriche risposte al terrorismo. Non si tratta di essere morbidi con il terrorismo. Si tratta di combatterlo su un campo di battaglia contemporaneo. Dobbiamo spingere per l'innovazione, come ho detto. I governi sono ricettivi, ma non verrà fuori nulla da quei corridoi polverosi. Il settore privato ha un ruolo da giocare. Quello che possiamo fare è uscire fuori e vedere come sostenere le vittime di tutto il mondo a condurre iniziative. Vorrei lasciarvi con qualche grande interrogativo che possa cambiare la prospettiva di qualcuno, e chi sa quali idee e risposte ne scaturiranno, ma è davvero necessario che io e il mio gruppo di terroristi abbiamo dovuto farvi saltare in aria per catturare l'attenzione? Dobbiamo porci queste domande, per quanto sgradevoli. Abbiamo ignorato un'ingiustizia o una lotta umanitaria da qualche parte nel mondo? Cosa succede se, in realtà, l'impegno contro la povertà e l'ingiustizia è esattamente quello che i terroristi volevano farci fare? Se le bombe sono semplicemente la nostra sveglia? Cosa succede se quella bomba esplode perché avevamo la testa altrove e nessun modo per consentire al dialogo di affrontare queste cose e interagire? La cosa sicuramente condivisibile è che, come ho detto, dobbiamo smettere di essere reattivi, ed essere più proattivi, e vorrei solo lasciarvi con una idea, ossia una domanda provocatoria su cui riflettere e la cui risposta richiederà compassione per il diavolo. È una domanda che è stata affrontata da molti grandi pensatori e scrittori: e se la società avesse veramente bisogno di una crisi per cambiare? E se la società avesse in realtà bisogno del terrorismo per modificarsi e adattarsi per il meglio? Si tratta di quei temi di Bulgakov, è quell'immagine di Gesù mano nella mano con il Diavolo nel Getsemani che camminano al chiaro di luna. Quel che vuol dire è che gli esseri umani, per sopravvivere allo sviluppo, in stile abbastanza darwiniano intrinsecamente devono danzare con il diavolo. Un sacco di gente dice che il comunismo è stato sconfitto dai Rolling Stones. È una buona teoria. Forse i Rolling Stones hanno un posto in questa storia. Grazie. (Musica) (Applausi) Bruno Giussani: Grazie. (Applausi)